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Santi del 25 Febbraio

Il mio Santo > I Santi di Febbraio

*Sant'Adelelmo di Engelberg - Abate (25 febbraio)

Di lui si sa solo che era un monaco del Monastero Benedettino di San Biagio nella Foresta Nera.
Su richiesta del Barone Corrado di Seldenburen fu inviato a fondare la Badia di Engelberg nell'Unterwalden, nella Svizzera, dove divenne Priore e Abate e dove morì il 25 febbraio 1131.
Le sue reliquie furono riesumate nel 1611.
La sua festa si celebra il 25 febbraio.
(Autore: Sergio Mottironi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Adelelmo di Engelberg, pregate per noi.

*Sant'Aldetrude – Badessa (25 febbraio)

Martirologio Romano: A Maubeuge nella Gallia belgica, nell’odierna Francia, Santa Aldetrude, Vergine e Badessa.Figlia di san Vincenzo Madelgario, conte dell'Hainaut, e di santa Waldetrude, Aldetrude crebbe presso la zia Santa Aldegonda, fondatrice del convento di Maubeuge (Francia settentrionale), e le succedette come badessa. Governò saggiamente le sue religiose per dodici anni, spesso onorata dalla visita di angeli e di santi.
Morì probabilmente nel 696, il 25 febbraio, giorno in cui viene festeggiata. La Vita Aldetrudis, scritta da un monaco di Maubeuge nel IX sec. e edita dai Bollandisti, contiene molti elementi leggendari e riferisce ad Aldetrude miracoli e visioni già attribuite a Santa Aldegonda.
(Autore: Albert D'Haenens - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Aldetrude, pregate per noi.

*Beato Avertano di Lucca (25 febbraio)

Martirologio Romano: A Lucca, Beato Avertano, pellegrino e Religioso dell’Ordine dei Carmelitani.
Secondo il Catalogus Sanctorum dei Carmelitani, la cui attuale redazione è databile tra la fine del XIV e l'inizio del XV sec., Avertano nacque nella diocesi di Limoges, in un luogo che non si è potuto identificare.
Entrato nell'Ordine dei Carmelitani come converso, si fece subito notare per le sue eccezionali virtù. Venuto in Italia in pellegrinaggio ai vari santuari della penisola, vi compì numerosi miracoli e, mentre tornava in patria, morì a Lucca e fu sepolto nella vecchia chiesa dell'ospizio di San Pietro fuori le mura. Sulla sua tomba avvennero miracoli, attestati da pitture esistenti nella chiesa di San Pietro e nella cattedrale di Lucca.
L'anno di morte di Avertano sembra da collocarsi nel sec. XIII, per l'antichità di queste pitture, asserita dal Grossi, per l'esistenza di un'iscrizione (s. V[e]rtanus) giudicata non anteriore al sec. XII e non posteriore al XIII, e infine perché nel 1325 esisteva un ospedale intitolato ad Avertano. Per di
più, l'esser stato sepolto nell'ospizio di San Pietro, e non presso i carmelitani di Lucca, retrocederebbe la morte di Avertano a una data anteriore al 1284, anno in cui i religiosi ottennero la chiesa di Santa Maria del Corso, fuori porta San Donato, presso l'ospizio. Altro problema è costituito dall'elevazione del corpo. L'iscrizione che ne parla, di schietto sapore umanistico, fu incisa sul sepolcro marmoreo, attribuito a Matteo Civitali (1436-1501). Vi si dice che la elevazione avvenne ad opera di «Graecus Joannes Lucensis origine», che fece anche porre nella stessa tomba di Avertano il corpo del beato Romeo.
Ora, l'unico vescovo di Lucca di nome Giovanni, nel periodo che va dal 1100 al 1646, fu il francescano, già vescovo di Betlem, Giovanni di Fucecchio, prima ausiliare e poi, dal 1383 al 1393, vescovo. Il corpo di Avertano fu traslato in cattedrale nel 1513, poi nel 1646 restituito alla chiesa di San Pietro, ricostruita dentro le mura, e infine nel 1806 deposto nella chiesa dei SS. Paolino e Donato, dove ancor oggi è conservato.
Il suo nome fu introdotto nel calendario carmelitano nel 1514, al 25 febbraio; l'Ufficio ne fu reso obbligatorio dal capitolo generale dell'Ordine (1564), e sanzionato dalla Santa Sede (1609); le lezioni proprie furono approvate dalla Sacra Congregazione dei Riti il 12 maggio 1672; il 16 luglio 1828 l'Ufficio e la Messa furono estesi a tutta l'arcidiocesi di Lucca. La Vita di Avertano scritta in epoca tarda dal carmelitano Segero Pauli e pubblicata anche dai Bollandisti, è una composizione di fantasia. Circa il beato Romeo, sepolto assieme ad Avertano, manca ogni notizia attendibile. Sarebbe morto pochi giorni dopo Avertano, un 4 marzo, e sepolto accanto al suo amico. E' festeggiato con lui a Lucca il 25 febbraio, mentre presso i Carmelitani il 4 marzo.
(Autore: Ludovico Saggi - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Callisto Caravario – Sacerdote (25 febbraio)
Cuorgnè, Torino, 18 giugno 1903 - Cina, 25 febbraio 1930
Incontrando Mons. Versiglia a Torino nel 1921 gli disse: "La raggiungerò in Cina". Mantenne la parola, partendo due anni dopo.
Ordinato Sacerdote, sempre fedelissimo alla sua consacrazione religiosa e animato da una carità sempre più ardente, accompagnava Mons. Versiglia nella visita pastorale, nel distretto di Lin Chow insieme a due maestri, due catechiste e un'allieva quando il 25 Febbraio 1930, in un tratto isolato del fiume, furono assaliti dai pirati comunisti.
Nel tentativo di proteggere le giovani - che riuscirono a fuggire -, i due missionari furono percossi brutalmente e poi fucilati, in odio alla fede cristiana che esalta la verginità.
Martirologio Romano: Sulle rive del fiume Beijang vicino alla città di Shaoguan nella provincia del Guandong in Cina, Santi Martiri Luigi Versiglia, vescovo, e Callisto Caravario, Sacerdote della Società Salesiana, che subirono il martirio per aver dato assistenza cristiana alle anime loro affidate.
Aveva quattro anni quando un giorno la mamma rimase a letto indisposta.
Il fratello e la sorella non rinunciarono ai consueti giochi fuori casa; il piccolo Callisto rimase tutto il giorno accanto alla mamma.
S'era arrampicato sul grande letto, e rannicchiato accanto a lei assopita nel sonno.
La sua vocina la rassicurava: "Dormi tranquilla, mamma, sono io qui che veglio"".
Callisto Giacomo Caravario acquisirà dalla madre non solo le sembianze fisiche, ma un animo delicato e sereno, e specialmente un intenso rapporto con Dio Padre rafforzato da una fiducia continua nella Provvidenza.
Possiamo conoscere fatti e vicissitudini della sua vita fisica e spirituale dalle pagine del diario e dalle numerose lettere che Callisto inviò alla madre.
È stato osservato che "non si leggono, senza viva soddisfazione, le lettere alla mamma, nelle quali si rispecchia lo spirito di sacrificio del missionario che abbandona generosamente ogni legame, anche il più dolce e sacro...".
Nato il 18 giugno 1903 a Cuorgnè (Torino), frequenta parte delle scuole elementari presso l'istituto salesiano San Giovanni Evangelista a Torino; l'annesso oratorio diventa per il giovane Caravario la sua seconda casa.
Compiuti gli studi ginnasiali a Valdocco, si fa novizio nell'agosto del 1918 ed entra quindi definitivamente nella comunità salesiana.
Nel 1921 incontra monsignor Luigi Versiglia, al quale promette chiaramente di raggiungerlo in Cina.
Sente il completamento della sua vocazione nel farsi missionario.
Dopo la maturità classica è inviato come assistente degli artigiani presso l'oratorio di Valdocco: con i suoi allievi crea un rapporto sereno, a volte anche severo, ma sempre costruttivo.
Nell'ottobre del 1924 i superiori lo destinano alle missioni cinesi.
Il distacco dalla sua terra e dalla madre è doloroso, ma Callisto interpreta tutto come un dovuto sacrificio per la completezza del suo farsi servitore in Cristo.
Struggenti sono le lettere che scrive alla madre.
Si ferma due anni nella missione di Shanghai e affronta con decisione e impegno anche lo studio approfondito della lingua cinese.
Scrive alla mamma: "Stiamo studiando il cinese".
A vent'anni imparo a scrivere e a balbettare. Sia anche questo nel nome del Signore. Noi siamo contentissimi.
Pensiamo all'ltalia, perché è impossibile non pensarvi, ma siamo felicissimi di essere in Cina...
Mia buona mamma, prega per il tuo Callisto, affinché possa imparare un po' facilmente questa lingua, che è assai difficile, e possa così fare del bene.
Mamma non la dimentico mai: ogni tanto guardo il suo ritratto e la raccomando alla Madonna".
Grande è la sua soddisfazione quando riesce ad esprimersi nella lezione di catechismo in cinese.
Nel 1926 l'esercito comunista obbliga i cattolici ad abbandonare le attività in Shanghai.
Al giovane chierico costa molto lasciare quella missione e trasferirsi nell'isola indonesiana di Timor.
Il periodo di permanenza nell'isola è di soli due anni: la comunità salesiana si dovrà ritirare, ben presto, anche da lì.
Completati gli studi teologici, Callisto aspira a diventare Sacerdote di Cristo, ma data la non immediata disponibilità del Vescovo, la sua ordinazione viene rimandata.
Nell'aprile del 1929 parte da Timor per raggiungere la Cina e così il 19 aprile del 1929, pieno di gioia, può comunicare la notizia alla madre: "Avrò la fortuna di essere Sacerdote proprio nel mese di maggio, in prossimità della festa di Maria Ausiliatrice.
Non è una vera delicatezza che mi usa la Madonna?
Tu ravviva il coraggio. Avere un figlio sacerdote è una grande grazia e un grande onore. Coraggio!
In Paradiso il Signore ti ricompenserà di tutti i sacrifici fatti per suo amore".
Nel febbraio del 1930 Don Callisto, che opera nella comunità di Shiu-chow, viene destinato ad accompagnare Monsignor Versiglia nella visita pastorale alla missione di Lin-chow.
Dopo un viaggio in treno fino a Linkong-how, con una piccola barca cinese partono accompagnati da una esigua comunità, composta da uno studente di dieci anni, due donne, una cristiana anziana e una giovane catechista; completano la spedizione la padrona della barca, un figlio ventenne e due servi.
Un drappo bianco con la scritta in cinese "Missione cattolica" sventola in posizione ben visibile.
Durante il viaggio si imbattono nei pirati, che dopo aver percosso don Caravario e Monsignor Versiglia, li uccidono barbaramente. É il 25 febbraio 1930. Beatificato il 15 maggio 1983.
Proclamato santo il 1° ottobre 2000 col folto gruppo di Martiri Cinesi.
(Autore: Giuseppe Gottardo, da “Santi verso il Giubileo” - Ediz. Messaggero Padova - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Callisto Caravario, pregate per noi.  

*Beata Cecilia - Domenicana (25 febbraio)  
XV-XVI secolo
Nelle Vite del Razzi, unica fonte da cui dipendono tutti gli altri biografi, si trovano le seguenti notizie: dopo otto anni di matrimonio, d'accordo col marito, che si fece domenicano, Cecilia entrò nel monastero ferrarese delle Domenicane di Santa Caterina martire, dove trascorse trent'anni di vita ascetica.
Fu tre volte priora, amata dalle suore per la sua «humanità, modestia et prudenza».
Morì poco dopo una celeste visione avuta nel Natale 1511.
«Dopo la sua morte seguirono alcuni miracoli i quali per brevità si lasciano»; la commemorazione ricorre il 25 febbraio.
(Autore: Dante Balboni - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Cecilia, pregate per noi.

*San Cesario di Nazianzo – Confessore (25 febbraio)
É il fratello di San Gregorio Nazianzeno. Era medico alla corte imperiale di Bisanzio sotto Giuliano l’Apostata, che tentò inutilmente di riconvertirlo al paganesimo. San Cesario rimase per gran parte della sua vita un catecumeno. Si fece battezzare solo dopo essere sfuggito miracolosamente alla morte durante un terremoto avvenuto a Nicea. I particolari della Sua vita sono riportati nella commossa orazione funebre composta dal fratello Gregorio.
Etimologia: Cesario = nome di famiglia romana, assurto a dignità imperiale; grande, dall'etrusco
Martirologio Romano: A Nazianzo in Cappadocia, nell’odierna Turchia, San Cesario, medico, fratello di San Gregorio Nazianzeno.
Famiglia numerosa e di eccezionali virtù cristiane fu quella in cui nacque Cesario, giacché anche il padre Gregorio, la madre Monna, il fratello Gregorio, il celebre teologo, sono venerati come santi.
Nato nel 330, dalla città natale passò ad Alessandria per dedicarsi allo studio della geometria, dell'astronomia e soprattutto della medicina. Ritornato in patria, esercitò la professione di medico ottenendo tanti validi successi da meritare la fiducia dell'imperatore Costanzo che lo chiamò a Costantinopoli.
Anche il successore Giuliano l'Apostata lo confermò nell'incarico di medico di corte, nonostante rifiutasse di aderire al ripristino del culto pagano.
Dall'imperatore Gioviano fu nominato questore della Bitinia, ove nel 368 si salvò quasi prodigiosamente da un funesto terremoto.
L'episodio, però, determinò in Cesario una crisi spirituale per cui decise di abbandonare ogni pubblico incarico per dedicarsi più assiduamente alla salvezza della sua anima. Si fece amministrare il Battesimo, condusse poi vita penitente, finché fu colto da morte precoce (369.
Nel testamento dispose che ogni sua ricchezza fosse donata ai poveri. Tali particolari sono accennati nell'orazione funebre tenuta dal fratello Gregorio, documento che per sé, però, non costituisce una prova della venerazione e del culto, probabilmente sviluppatosi assai tardi.
Infatti, presso i latini la prima menzione si trova nel Martirologio Romano al 25 febbraio; tuttavia, presso i greci il culto è senz'altro più antico e la memoria del santo viene celebrata il 9 marzo.
(Autore: Gian Domenico Gordini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Cesario di Nazianzo, pregate per noi.

*Beato Ciriaco Maria Sancha y Hervas - Cardinale (25 febbraio)

18 giugno 1833 – 25 febbraio 1909

Nacque a Quintana del Pidio il 18 giugno 1833. Dopo il 1862 fu a Cuba, dove il 5 agosto 1869 fondò le Congregazione della Suore della Carità. Nel 1873 fu incarcerato perché si oppose alla nomina di Pedro Llorente Miguel ad arcivescovo di Santiago di Cuba da parte del governo repubblicano spagnolo, senza il consenso della Santa Sede. Il 28 gennaio 1876 fu eletto vescovo titolare di Areopoli e ausiliare di Toledo. Fu consacrato il 12 febbraio successivo dal cardinale Juan de la Cruz Ignacio Moreno y Maisonave. Fu trasferito alla sede di Ávila il 27 marzo 1882; il 10 giugno 1886 fu nominato vescovo di Madrid e Alcalá de Henares. L'11 luglio 1892 fu promosso alla sede metropolitana di Valencia. Papa Leone XIII lo elevò al rango di cardinale nel concistoro del 18 maggio 1894. Il 2 dicembre dell'anno successivo ricevette il titolo di San Pietro in Montorio.
Il 24 marzo 1898 divenne arcivescovo di Toledo e primate di Spagna, nonché patriarca delle Indie Occidentali. Partecipò al conclave del 1903, che elesse papa Pio X. Morì il 25 febbraio 1909 all'età di 75 anni. Nonostante la brillante carriera ecclesiastica, visse e morì in povertà.Il 18 ottobre 2009 è stato beatificato.
Proveniente da una famiglia umile, Ciriaco María Sancha y Hervás nacque nel 1883. La sua infanzia su segnata dal dolore: quando aveva 10 anni morì sua madre, due anni dopo la sua sorella maggiore.
A 25 anni fu ordinato sacerdote. Sei anni dopo si recò a Santiago de Cuba per essere segretario dell'Arcivescovo del luogo.
"Lì trovò molta miseria. Molti poveri richiedevano la sua attenzione: mendicanti, bambini abbandonati, persone mutilate durante la guerra d'indipendenza. Di fronte a questa realtà, non poté rimanere
indifferente", spiega una biografia distribuita dal postulatore della sua causa, padre Romulado Rodrigo Lozano O.A.R, nella Sala Stampa della Santa Sede.
In questa situazione, vide la necessità di fondare una Congregazione particolarmente dedicata a loro. Il 5 agosto 1869, giorno di Nostra Signora della Neve, fondò così la comunità delle Suore della Carità del Cardinale Sancha.
Per dieci mesi fu anche arrestato per aver difeso la parola e i diritti della Chiesa, scrivendo varie opere: "Consigli a un giovane levita", "Lo Scisma di Cuba" e "Domande e risposte". Tornò poi in Spagna, dove nel 1876 venne nominato Vescovo ausiliare di Toledo.
Quattro anni dopo fu trasferito ad Ávila. Era preoccupato per la mancanza di risorse economiche di molti giovani che avevano inquietudini vocazionali. Per questo creò borse di studio e acquisì strutture di laboratorio e scienze per il seminario.
Per rispondere a queste necessità fondò anche la prima Trappa Femminile in Spagna, le cui appartenenti sono oggi conosciute come religiose cistercensi di stretta osservanza.
Papa Leone XIII lo nominò Arcivescovo di Madrid nel 1886. Lì, ha sottolineato il postulatore, si distinse "per le opere apostoliche, la preoccupazione per i poveri, i seminaristi, gli operai, le scuole domenicali". Il Papa lo incaricò anche di occuparsi della Lega cattolica, che doveva incanalare l'azione dei cattolici nella vita pubblica.
Dopo 6 anni fu nominato Vescovo di Valencia, dove nel 1893 organizzò il Primo Congresso Eucaristico Nazionale. Nel 1895 ricevette il titolo di Cardinale.
"Lavorò per liberare il clero da impegni politici, consapevole che in ciò si giocavano la dignità dello stato sacerdotale e la penetrazione che il Vangelo era chiamato ad effettuare nella società", ha affermato padre Carlos Miguel García Nieto, docente di Storia della Chiesa, durante la conferenza stampa.
"Esercitò inoltre una notevole influenza sugli intellettuali valenciani attraverso incontri mensili che convocava nel Palazzo arcivescovile e la rivista scientifica che si pubblicava periodicamente", ha detto il docente.
Divenne infine titolare della Diocesi di Toledo e primate di Spagna nel 1898. I fedeli lo ricevettero entusiasti con striscioni che dicevano "Al Padre dei poveri", "All'iniziatore dei Congressi Cattolici", "All'instancabile apostolo delle dottrine del Romano Pontefice", e furono questi i punti chiave del suo servizio episcopale negli ultimi 11 anni di vita.
Nel 1904, grazie alla sua promozione, si svolse a Siviglia il congresso della buona stampa, da cui nacquero un'agenzia di informazione cattolica con sede a Madrid e una di scrittori e artisti cattolici. Nel 1907 il Cardinale convocò la prima assemblea dell'episcopato spagnolo, che anticipò l'attuale Conferenza Episcopale.
Morì il 25 febbraio 1909, dopo essere uscito in una mattina d'inverno sotto la neve per portare coperte ai poveri.
La tomba del Cardinale Sancha si trova nella Cattedrale di Toledo. Nel suo epitaffio appare la frase: "Con zelo di ardente carità si fece tutto per tutti. Visse povero e morì poverissimo".
Nell'omelia della Messa del centenario, il Cardinale Antonio Cañizares ha detto che il porporato fu un "sollecito medico delle anime, appassionato d'amore per la Chiesa e per gli uomini, in tempi di gravi difficoltà e di crisi sociale, culturale e umana".
Il Cardinale Sancha "si lasciò modellare da Dio e cercò in tutto la sua volontà: che gli uomini si salvassero e arrivassero alla conoscenza della verità, che avessero la vita, che fossero una cosa sola e rimanessero nell'amore rispettando i comandamenti".
È stato beatificato il 18 ottobre 2009 a Toldeo, durante una celebrazione nella cattedrale presieduta dal card. Amato.

(Autore: Carmen Elena Villa – Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Ciriaco Maria Sancha y Hervas, pregate per noi.

*Beato Didaco Yuki Ryosetsu - Sacerdote gesuita, Martire (25 febbraio)
Scheda del Gruppo cui appartiene:
“Beati Martiri Giapponesi Beatificati nel 1867-1989-2008”
Awa, Giappone, 1574/75 circa – Osaka, Giappone, 25 febbraio 1636
Sacerdote professo della Compagnia di Gesù, Didaco Yuki Ryosetsu subì il martirio nella sua patria nel contesto di feroci ondate persecutorie contro i cristiani.
In seguito ad un rapido processo iniziato con il Nulla Osta della Santa Sede concesso in data 2 settembre 1994, è stato riconosciuto il suo martirio il 1° luglio 2007 ed è stato beatificato il 24 novembre 2008, sotto il pontificato di Papa Benedetto XVI, unitamente ad altri 187 martiri giapponesi.
(Fronte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Didaco Yuki Ryosetsu, pregate per noi.

*Beato Domenico Lentini (25 febbraio)

Lauria (Potenza), 22 novembre 1770 - Ivi, 25 febbraio 1828
Nato a Lauria (Potenza) nel 1770 da genitori contadini, il beato Domenico Lentini divenne prete nel 1794 e si dedicò alla predicazione tra le persone di tutte le condizioni: dai dotti ai più umili, che beneficava con gesti di carità. Anche improvvisi: era capace di togliersi scarpe, calzoni e camicia, restando solo con la tonaca sulla pelle, per andare incontro a un bisognoso.
Si dedicò anche all'educazione dei giovani. Conobbe anche dure prove: fu calunniato presso il vescovo da un sacerdote e passò per gli anni di fuoco della Rivoluzione napoletana del 1799. Morì a Lauria nel 1828. E' beato dal 1997. (Avvenire)
Patronato: Lauria (PZ)
Martirologio Romano: A Lauría in Basilicata, Beato Domenico Lentini, sacerdote, che nella sua terra svolse fino alla morte un fruttuoso e molteplice ministero, reso fecondo da una vita di umiltà, preghiera e penitenza.
Il Beato Domenico Lentini nasce nella città Lauria, il 20 novembre 1770 da Macario e Rosalia Vitarella, di povere condizioni economiche, già a 14 anni segue la vocazione al sacerdozio.
Il 21 settembre 1793 è ordinato Diacono. L'8 giugno 1794 è ordinato sacerdote. Infiammato dallo Spirito Santo, sì da essere descritto dai contemporanei "un angelo all'altare", anche a causa delle frequenti estasi. Don Domenico si dedica con tutte le sue forze alla confessione, evangelizzazione, predicazione e catechesi non solo a Lauria, ma anche nei paesi, del circondario. I quaresimali, le missioni, le omelie, toccano il cuore di tutti, infondendo la fede nei suoi uditori.
Con Gesù Cristo Crocifisso, ha tenera devozione verso la Madre Addolorata. È di profonda cultura, che mette a disposizione di tutti. Per trenta anni ragazzi e giovani affollano la sua povera casa in una vera e propria scuola cattolica. Insegna gratuitamente lettere e scienze, osservando Egli una strettissima povertà volontaria, vedendo Cristo nei bisognosi dona quanto modestamente possiede: vestiti, pane e il poco denaro. Vive in continua aspra penitenza: cibi frugali, mortificazioni corporali,
vesti logore, cilizi e flagellazioni, pochissimo sonno e il pavimento per giaciglio. Con queste e altre opere penitenziali si offre a Dio Padre in espiazione dei nostri peccati. É dotato dal Signore di molti carismi di profezia, scrutazione dei cuori, miracoli.
Il 25 febbraio 1828, dopo un'agonia vissuta nel completo abbandono mistico, il servo buono e fedele è chiamato a prendere parte alla gioia del Suo Signore. La glorificazione di don Domenico Lentini comincia già subito con i suoi funerali, celebrati in Lauria per sette giorni consecutivi e con grande partecipazione di popolo, intervenuto da tutto il circondario. Il Suo corpo, martoriato da flagelli e digiuni, per tutto il tempo rimane flessibile e caldo, effonde sangue vivo e soave odore. Si aprono i suoi occhi davanti all'Ostia Santa, ai suoi parenti ed amici, ai miscredenti. Prodigiose guarigioni e numerose conversioni avvengono presso il suo feretro e la fama di santità si afferma ovunque.
Le grazie e i miracoli, ottenuti per l'intercessione del Beato Domenico Lentini, durante la sua vita terrena o presso la sua tomba nella Chiesa parrocchiale San Nicola di Lauria, oppure altrove, sono stati sempre in gran numero: guarigioni di paralitici, ciechi, tisici, deformi, muti, dementi, malati di tumori e fistole, sterili, partorienti in difficoltà. Tra i tanti prodigi vogliamo ricordarne qualcuno. Il 14 luglio 1828, da Papasidero (CS) portano alla tomba del Lentini la ragazza Angiola Rosaria Maiolino, paralizzata totalmente da due anni.
Alla presenza del vescovo Nicola M. Laudisio, guarito da tumore alla mano dal Beato Lentini proprio in quell'anno, del clero e di tanto popolo, dopo suppliche piene di fede, la fanciulla si alza dal suo misero giaciglio, e, toccando il cilizio del Beato che le porge il vescovo, guarisce totalmente. Nel 1830 in Lauria avviene la guarigione istantanea del figlio sordomuto di Angelo Maria Scaldaferri e Maria D'Andrea che portano il figlioletto presso la tomba del santo sacerdote, tra pianti e suppliche. A Viggiano nel 1834 risuscita il figlioletto di Vito Reale, di tre anni appena, morto annegato in una vasca di acqua e calce viva, dopo la devotissima preghiera del padre sconvolto, davanti all'immagine del Beato. Per Sua intercessione, nel 1905 a Lagonegro Agnese Mango, paralizzata da dieci anni guarisce istantaneamente.
Nel 1918, a San Paolo del Brasile, Domenico Pucci guarisce da tumore maligno. Nel 1930, a Laino Borgo, Giuseppina Maiolino guarisce da sarcoma ad una gamba.
Il processo diocesano si celebra a Lauria. Il processo apostolico a Roma. Nel 1935 il papa Pio XI dichiara Venerabile il Servo di Dio Don Domenico Lentini ed eroe delle virtù teologali e cardinali. Nell'Arcidiocesi di Napoli, a Secondigliano, la signora Anna Maria Voria, gr avemente ammalata e prossima alla morte, per intercessione del Beato Domenico Lentini, il 21 settembre 1988, guarisce rapidamente e totalmente da metastasi diffusa causata da carcinoma uterino.
L'evento prodigioso, sottoposto a meticoloso processo diocesano e alla rigorosa ricognizione apostolica presso la Congregazione dei Santi, produce il 17 dicembre 1996 la lettura del Decreto d'approvazione, alla presenza di Sua Santità il Papa Giovanni Paolo II che, in Piazza San Pietro a Roma, il 12 ottobre 1997 dichiara solennemente Beato il Venerabile sacerdote Domenico Lentini da Lauria, dinanzi a migliaia di fedeli convenuti dalla sua attuale diocesi, dalla Regione intera e da ogni parte d'Italia. Per il terzo millennio cristiano l'umile e santo prete del Sud ancora ci annuncia: "Gesù è il mio tutto!".
Innumerevoli sono le intercessioni del Beato Domenico Lentini da Lauria, specie a chi chiede favori per la salute o a chi dovrà subire un delicato intervento chirurghico.
Se si volessero elencare miracoli e grazie, ottenuti per la Sua benevolenza, non basterebbe un fiume d'inchiostro; infatti, non esiste un fedele che gli si è rivolto senza ottenerne favori. Avvengono addirittura circostanze di persone in gravi difficoltà di vario genere cui è apparso, in incognita, elargendo consigli e assicurazioni circa lo stato di difficoltà di questi riconoscendolo successivamente tramite una foto o qualche particolare."
Preghiera per la canonizzazione del Beato Lentini:
Signore, che sempre rinnovi e santifichi la tua Chiesa con la forza del tuo Spirito e susciti in essa tuoi servi che più intimamente partecipano al tuo mistero pasquale, degnati di glorificare il sacerdote Beato Domenico Lentini che consumò la sua vita nell'amore a Te e ai fratelli. Per sua intercessione concedimi la grazia di cui ho tanto bisogno . Per Cristo nostro Signore. Amen
(Autore: Ferdinando Del Duca – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Domenico Lentini, pregate per noi.  

*Sant'Eustasio di Aosta – Vescovo (25 febbraio)

Nel vasto panorama dei primi vescovi delle antiche diocesi piemontesi è fuori dubbio che gli unici due che rivestano un interesse per la Chiesa universale siano Sant’Eusebio di Vercelli, ricordato anche nel Calendario liturgico Romano, e San Massimo di Torino, annoverato tra i padri minori della Chiesa latina. Assai meno noti, ma non meno importanti in quanto primi padri nella fede delle comunità loro affidate, sono Gaudenzio di Novara, Maggiorino d’Acqui, Eulogio di Ivrea ed Eustasio di Aosta. Quest’ultimo, anticamente ricordato in data odierna, è tradizionalmente ritenuto il primo vescovo dell’antica Augusta Pretoria, odierna Aosta, capoluogo della grande vallata omonima.
Il suo nome di battesimo, Eustasio (citato talvolta quale Eustazio o Eustachio), ci fa presupporre che fosse di origine orientale: vari altri santi di quelle zone portano infatti tale nome.
Conobbe dunque assai probabilmente Sant’Eusebio allora esiliato forzatamente e decise di seguirlo a Vercelli per entrare nel nascituro celebre cenobio da lui fondato. Ricevette qui un’adeguata formazione e, ritenuto degno dell’episcopato.
In seguito alla richiesta che, secondo Sant’ Ambrogio, la Chiesa valdostana fece ad Eusebio, Eustasio fu dunque destinato nella nuova sede episcopale nella prima metà del V secolo. Non sono purtroppo stati tramandati ulteriori dettagli circa il suo operato presso Aosta, ne sussiste prova alcuna del suo passaggio presso l’attuale cattedrale cittadina.
Nel 451, forse impossibilitato a parteciparvi a causa dell’età avanzata, Eustasio inviò in sua rappresentanza al concilio di Milano il presbitero Grato.
Quest’ultimo gli successe poi sulla cattedra di Aosta e, venerato come santo, la venerazione nei suoi confronti superò enormemente quella verso il protovescovo.
Da tempo non è più celebrata nella sua diocesi la memoria liturgica di Sant’Eustasio e nel calendario della Regione Pastorale Piemontese non figura inspiegabilmente neppure tra i santi e Beati con culto solo locale.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Gerlando di Agrigento – Vescovo (25 febbraio)
Al vescovo Gerlando si deve la riorganizzazione della diocesi di Agrigento dopo la lunga occupazione musulmana che durò dall'829 al 1086.
Secondo alcuni studiosi Gerlando era nativo di Besançon e fu nominato primicerio della «Schola cantorum» della chiesa di Mileto (Catanzaro) dal gran conte di Sicilia Ruggero I degli Altavilla. Dopo la riconquista di Agrigento dall'occupazione araba e il ristabilimento della gerarchia ecclesiastica nell'isola, Gerlando fu nominato dallo stesso conte, vescovo della città nel 1088.
Venne consacrato a Roma da Papa Urbano II. La sua opera di riorganizzazione della comunità
cristiana di Agrigento, che oggi lo venera come patrono, lo portò in sei anni a costruire l'episcopio e la cattedrale, dedicati alla Madonna e a san Giacomo.
A lui si deve la fortificazione del castello di Agrigento, che allora si chiamava Girgenti dal precedente nome arabo «Gergent».
Partecipò al convegno di Mazara del 1098 e battezzò il signore arabo Chamud, chiamato poi Ruggero Achmet. Morì il 25 febbraio 1100. (Avvenire)
Martirologio Romano: Ad Agrigento, San Gerlando, vescovo, che riordinò la sua Chiesa liberata dal potere dei Saraceni.
Qualche studioso lo dice nativo di Besançon, appartenente alla popolazione celtica ‘allobroga’ e parente del gran conte di Sicilia Ruggero I degli Altavilla (†1101), fu uomo di grande carità, erudito nelle sacre discipline.
Nominato da Ruggero primicerio della ‘Schola cantorum’ della chiesa di Mileto (Catanzaro), dopo la riconquista di Agrigento (1086) dall’occupazione araba e il ristabilimento della gerarchia ecclesiastica nell’isola, fu nominato dallo stesso conte, vescovo della città nel 1088 (la bolla di conferma pontificia è del 1098), venendo consacrato a Roma dallo stesso papa Urbano II.
Nel suo viaggio di ritorno, passando per Bagnara in provincia di Reggio Calabria, predisse al priore del locale monastero Drogone che sarebbe stato suo successore.
Ritornato ad Agrigento, Gerlando si adoperò alla riorganizzazione della diocesi, che dopo
l’occupazione musulmana durata dall’829 al 1086, contava ben pochi cristiani e in sei anni edificò l’episcopio e la cattedrale che dedicò alla Madonna e a S. Giacomo; fortificò il castello di Agrigento, nome assunto dalla città nel 1927, ma che allora si chiamava Girgenti dal nome messo dagli arabi "Gergent".
Sappiamo inoltre che partecipò al convegno di Mazara del 1098 in cui il gran conte Ruggero I e i vescovi della Sicilia si accordarono per la ripartizione delle decime; a lui si dà il merito di aver battezzato e evidentemente convertito, il signore arabo Chamud, chiamato poi Ruggero Achmet.
Gerlando dopo dodici anni di episcopato, morì il 25 febbraio 1100; le sue reliquie ebbero varie ricognizioni e traslazioni ad opera dei vescovi agrigentini nel 1159 e 1264.
Il vescovo Giovanni Oroczo de Covarruvios, nel 1598, ordinò in onore del Santo patrono della città, delle solenni feste, rimaste famose negli annali storici agrigentini, vi parteciparono fra l’altro ben 8640 confratelli di 29 confraternite, tutti in divisa propria, oltre a tutto il clero secolare e regolare della diocesi.
L’ultima traslazione delle reliquie è del 1630, esse poste in una magnifica arca d’argento sbalzato, furono sistemate nella cappella della cattedrale dove sono tuttora.
Una volta la festa della traslazione era celebrata con grande solennità e partecipazione di tutta la diocesi, oggi il culto esterno è alquanto ridotto.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Gerlando di Agrigento, pregate per noi.

*San Lorenzo Bai Xiaoman – Martire (25 febbraio)

Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Santi Martiri Cinesi” (Agostino Zhao Rong e 119 Compagni)   
Shuicheng Co., Cina, 1821 circa – Xilin, Cina, 25 febbraio 1856
Questo laico del vicariato apostolico di Guizhou, martire cinese, fu canonizzato il 1° ottobre 2000 da Giovanni Paolo II.
Martirologio Romano:
Nella città di Xilinxian nella provincia del Guangxi in Cina, San Lorenzo Bai Xiaoman, martire, che, artigiano e neofita, preferì patire le percosse e la decapitazione piuttosto che rinnegare Cristo.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Lorenzo Bai Xiaoman, pregate per noi.

*San Luigi Versiglia - Vescovo e Martire (25 febbraio)
Oliva Gessi (Pavia), 5 giugno 1873 – Li Thau Tseui (Cina), 25 febbraio 1930
Il vescovo Luigi Versiglia, salesiano, è uno dei 120 martiri della Cina canonizzati da Giovanni Paolo II il 1° ottobre 2000.
Nato nel 1873 a Oliva Gessi, in provincia di Pavia, conobbe personalmente don Bosco.
Ordinato sacerdote nel 1895, fu per dieci anni maestro dei novizi nella Casa salesiana di Genzano.
Fin da giovanissimo portava nel cuore il desiderio di partire missionario. Così nel 1906 fu scelto come capogruppo dei primi missionari salesiani in partenza per la Cina.
Visse il suo apostolato prima a Macao e poi nella regione del Kwangtung, nel Sud della Cina, dove fondò la missione di Shiu Chow di cui nel 1920 divenne vicario apostolico e primo vescovo.
Mentre la Cina sprofondava sempre più nella guerra civile, verso la fine del gennaio 1930 si mise in viaggio assieme al giovane confratello don Callisto Caravario (anche lui nel gruppo dei 120 martiri) per raggiungere i cristiani della piccola missione di Lin-Chow. Furono uccisi insieme da un gruppo di banditi il 25 febbraio 1930. (Avvenire)
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: Sulle rive del fiume Beijang vicino alla città di Shaoguan nella provincia del Guandong in Cina, Santi Martiri Luigi Versiglia, vescovo, e Callisto Caravario, sacerdote della Società Salesiana, che subirono il martirio per aver dato assistenza cristiana alle anime loro affidate.
Il 1° ottobre del 2000, Papa Giovanni Paolo II ha solennemente canonizzato ben 120 martiri in Cina, di cui sei vescovi, un buon numero di sacerdoti missionari di vari Ordini religiosi, alcune suore e un sostanzioso numero di fedeli cinesi.
I martiri testimoniarono con il loro sangue la fedeltà a Cristo e alla sua religione, in varie epoche e in vari luoghi dell’immenso Impero asiatico, a partire dal 1648 e fino al XX secolo.
Fra loro vi sono due componenti della grande Famiglia Salesiana, mons. Luigi Versiglia e padre Callisto Caravario, che insieme furono uccisi dalla furia di bande di briganti, contrari ai missionari.
In questa scheda parliamo solo del vescovo Versiglia, per padre Caravario (1903-1930), esiste una scheda propria.
Luigi Versiglia nacque il 5 giugno 1873 a Oliva Gessi (Pavia); a 12 anni venne mandato a Torino a studiare da don Bosco, il quale in un fugace incontro nel 1887, gli disse: “Vieni a trovarmi ho qualcosa da dirti”, purtroppo la successiva malattia e la morte del santo, impedì quel colloquio, ma l’adolescente Luigi ne rimase comunque conquistato.
A 16 anni emise i voti religiosi diventando un Salesiano; dopo aver completato gli studi superiori, frequentò la Facoltà di Filosofia all’Università Gregoriana di Roma, trascorrendo le ore libere fra i giovani; fu ordinato sacerdote ad appena 22 anni nel 1895.
Ma già nell’anno successivo fu nominato direttore e maestro dei novizi nella Casa di Genzano di Roma, carica che tenne per dieci anni, dimostrandosi un accorto e adeguato formatore di futuri sacerdoti.
Ma la sua aspirazione fin dalla giovinezza, erano le Missioni e quindi diventò a 33 anni il capogruppo dei primi salesiani, che nel 1906 partirono per la Cina.
Esplicò il suo apostolato a Macao dove stabilì la ‘Casa madre’ dei salesiani, facendola diventare un centro di fede per tutti i cattolici della città; venne chiamato ‘padre degli orfani’.
Aprì la missione di Shiu Chow nella regione del Kwangtung nel sud della Cina, della quale nel 1920 è nominato e consacrato primo vescovo e Vicario Apostolico.
Fu un vero pastore tutto dedito al suo gregge e pur tra tante difficoltà, in quei tempi di gravi tensioni sociali e politiche, che investirono anche le Missioni cattoliche, egli diede al Vicariato una solida struttura con un seminario, case di formazione, residenze, orfanotrofio, scuole, ricoveri per anziani, moltiplicando le opere catechistiche.
Si dimostrò più un padre che uomo di autorità, dando l’esempio del lavoro e della carità, sempre conforme alla valutazione delle reali forze dei confratelli.
Intanto la situazione politica in Cina non era tranquilla, la nuova Repubblica Cinese nata il 10 ottobre 1911, con il generale Chang Kai-shek, aveva riportato all’unità la Cina, sconfiggendo nel 1927 i ‘signori della guerra’ che tiranneggiavano varie regioni.
Ma la pesante infiltrazione comunista nella nazione e nell’esercito, sostenuta da Stalin, aveva persuaso il generale ad appoggiarsi alla destra e a dichiarare fuori legge i comunisti (aprile 1927), per questo la guerra civile era ricominciata.
La provincia di Shiu-Chow posta tra il Nord e il Sud era luogo di passaggio o di sosta dei vari gruppi combattenti fra loro e quindi erano usuali, furti, incendi, violenze, delitti, sequestri.
Era pure difficile distinguere in queste bande che saccheggiavano, i soldati sbandati, i mercenari, i killer prezzolati, i pirati che approfittavano del caos.
In quei tristi tempi anche gli stranieri rischiavano la vita e venivano classificati con disprezzo “diavoli bianchi”; i missionari erano in genere amati dalla gente più povera e le Missioni diventavano il rifugio nei momenti di saccheggio, ma i più temibili erano i pirati, che non avevano riguardo per nessuno e i soldati comunisti, per i quali la distruzione del Cristianesimo era un loro programma.
Per questo negli spostamenti necessari per le attività missionarie nei vari e sparsi villaggi, i catechisti e le catechiste, le maestre e le ragazze, non si mettevano in viaggio se non accompagnate dai missionari; d’altronde per il pericolo incombente sulle vie di terra e sui fiumi, anche il vescovo Luigi Versiglia non aveva potuto fino allora visitare i cristiani della piccola missione di Lin-Chow composta da due scuolette e duecento fedeli, nella devastata città di 40mila abitanti, turbata dalla guerra civile.
Ma verso la fine di gennaio 1930 si convinse che bisognava partire, senza aspettare più che le vie fossero sicure, affidandosi alla volontà di Dio; ai primi di febbraio giunse al centro salesiano di Shiu-Chow il giovane missionario don Callisto Caravario di 26 anni, responsabile della missione di Lin-Chow, per accompagnare il Vicario Versiglia nel viaggio.
Fatti i rifornimenti, sia per il viaggio previsto di otto giorni, sia per i bisogni della piccola missione, all’alba del 24 febbraio ci fu la partenza in treno del gruppo, composto da mons. Versiglia, padre Caravario, due giovani maestri diplomati all’Istituto Don Bosco, uno cristiano l’altro pagano, le loro due sorelle Maria di 21 anni maestra e Paola 16 anni che lasciati gli studi tornava in famiglia, inoltre la catechista Clara di 22 anni.
Dopo una sosta notturna alla Casa Salesiana di Lin-kong-how, s’imbarcarono il 25 febbraio sulla barca che doveva risalire il fiume Pak-kong, fino a Lin-Chow dalla piccola comunità di don Caravario; al gruppo si aggiunse un’anziana catechista che doveva affiancare la più giovane Clara e un ragazzo di 10 anni, che si recava alla scuola di don Caravario.
La grossa barca era condotta da quattro barcaioli e risalendo il fiume verso mezzogiorno, avvistarono sulla riva, dei fuochi ravvivati da una decina di uomini; giunti alla loro altezza essi intimarono alla barca di accostare e fermarsi.
Chiesero ai barcaioli, puntando fucili e pistole, chi trasportavano e saputo che si trattava del vescovo e di un missionario, dissero: “Non potete portare nessuno senza la nostra protezione.
I missionari devono pagarci 500 dollari o vi fucileremo tutti”.
Pagare un pedaggio lungo i fiumi, era diventata una triste abitudine, ma 500 dollari era una cifra che nessuno portava in un viaggio.
I missionari allora cercarono di far capire loro che non possedevano tanto denaro, ma i pirati saltarono sulla barca e la esplorarono; scorsero le ragazze rifugiate in quella specie di baracca situata a poppa della barca, allora esclamarono: “Portiamo via le loro mogli!”.
I missionari ribatterono che non erano loro mogli, ma alunne che venivano accompagnate a casa, nel contempo con i loro corpi cercavano di bloccare l’entrata della baracca.
I pirati allora minacciarono di dar fuoco alla barca, prendendo fascine di legna da una vicina barca, ma la legna era fresca e non si accendeva subito, nel mentre i missionari riuscivano a soffocare le prime fiamme.
Infuriati i pirati presero dei rami più grossi dalle fascine e bastonarono i due missionari, dopo molti minuti il cinquantasettenne vescovo cadde e dopo qualche minuto anche don Caravario; a questo punto i malviventi si avventarono sulle donne trascinandole sulla riva fra i loro disperati pianti.
Anche i due missionari furono portati a terra, i barcaioli con l’anziana catechista, il ragazzo e i due fratelli delle donne, furono lasciati liberi di proseguire, una volta giunti alla tappa precedente furono avvisati i missionari del luogo e le autorità, che mandarono drappelli di soldati.
Ma intanto sulla riva del fiume si consumava la tragedia, i due salesiani legati si confessarono a vicenda, esortando le tre ragazze ad essere forti nella fede, poi i pirati li fecero incamminare per una stradetta lungo il corso del Shiu-pin, piccolo affluente del Pak-kong, nella zona di Li Thau Tseui; il vescovo Versiglia li implorò: “Io sono vecchio, ammazzatemi pure.
Ma lui è giovane risparmiatelo!”.
Le donne mentre venivano spinte verso una pagoda, udirono cinque colpi di fucile e dieci minuti dopo gli esecutori tornarono dicendo: “Sono cose inspiegabili, ne abbiamo visto tanti… tutti temono la morte. Questi due invece sono morti contenti e queste ragazze non desiderano altro che morire…”.
Era il 25 febbraio 1930; le ragazze furono trascinate sulla montagna, restando in balia dei banditi per cinque giorni.
Il 2 marzo i soldati raggiunsero il covo dei banditi, i quali dopo un breve scontro a fuoco, fuggirono lasciando libere le ragazze; che divennero preziose e veritiere testimoni del martirio dei due missionari salesiani, che avevano dato la vita per difenderle.
Papa Paolo VI nel 1976 li dichiarò “martiri” e Papa Giovanni Paolo II il 15 maggio 1983 li beatificò.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Luigi Versiglia, pregate per noi.  

*Beata Maria Adeodata Pisani (25 febbraio)
1806 - 1855
Martirologio Romano:
Nella cittadina di Medina sull’isola di Malta, Beata Maria Adeodata (Maria Teresa) Pisani, Vergine dell’Ordine di San Benedetto, che, Badessa del Monastero di San Pietro, nel sapiente equilibrio dei tempi, svolse con saggezza il suo ufficio, prendendosi cura dell’assistenza ai poveri e ai bisognosi per lo stesso bene spirituale della comunità.
La vita di Suor Maria Adeodata (al secolo Maria Teresa) Pisani si svolse in un arco di tempo abbastanza breve: 29 dicembre 1806 - 25 febbraio 1855. Nacque a Napoli, dove rimase fino all'età di 19 anni, quando si recò a Malta, paese di origine del padre, il Barone Pisani.
Fu allevata dalla nonna paterna e, all'età di 10 anni, quando questa morì, fu messa in collegio, dove ricevette una buona educazione cristiana, della quale serbò memoria per tutta la vita. Per poco più
di due anni, in Malta nella località Notabile (ora Medina), visse in modo molto discreto, umile e pio. A 22 anni fece il suo ingresso al Monastero di San Pietro, delle Suore Benedettine, che la giovane conosceva bene perché vicino alla sua abitazione. La Serva di Dio "fu trovata nello spirito pienamente istruita", tanto che, solo otto giorni dopo il suo ingresso, la Maestra delle Novizie la chiamò ad aiutarla nell'istruzione spirituale delle educande.
Dopo un anno, iniziò il Noviziato e l'8 marzo 1830 fece la solenne professione religiosa. Una volta inserita pienamente nella Comunità, continuò a condurre la sua vita di umiltà e di sacrificio che l'aveva già distinta da postulante e da novizia. Anche se non cercò mai uffici, nel corso dei 25 anni seguenti alla professione ebbe modo di disbrigarli praticamente tutti. Fu tre volte sacrestana ed infermiera, mansioni da lei predilette, perché le davano maggiori opportunità, l'una di essere più direttamente a contatto con il Signore e l'altra di servire ancora meglio le consorelle. Non si sottrasse all'incarico di portinaia, anche se la distoglieva dal silenzio e dal raccoglimento. Ne approfittava per incontrare e aiutare i poveri, che, autorizzata, radunava e catechizzava.
Il 30 giugno 1847 venne eletta per la prima volta Maestra delle Novizie, ufficio che svolse sino al 30 giugno 1851. Il 30 giugno 1851 venne eletta Abbadessa. Nel biennio in cui ricoprì l'incarico non introdusse novità, ma offrì soprattutto l'esempio delle sue "speciali virtù" per far rifiorire la Regola e aiutare le consorelle a progredire nel loro cammino di perfezione. Eletta Discreta il 30 giugno 1853, fu il suo ultimo incarico non potendo condurlo a termine, a causa delle sue condizioni di salute, mai particolarmente buone e anche a motivo delle penitenze e dei digiuni. Morì il 25 febbraio 1855.
Tutta la spiritualità della Serva di Dio, riflessa nel comportamento nelle diverse tappe della vita e negli insegnamenti contenuti negli scritti, lascia trasparire una vivezza di virtù teologali, cardinali e annesse, che supera di molto i livelli ordinari della vita cristiana vissuta nella stessa vita religiosa e claustrale.
Il processo iniziò già nel 1893, ma fu iinterrotto dal 1913 al 1989, per ragioni economiche. Il miracolo attribuito alla Serva di Dio risale al 1897 e riguarda la guarigione straordinaria di Madre Maria Giuseppina Damiani, all'epoca Badessa del Monastero Benedettino di Subiaco.
(Fonte: Santa Sede)
Giaculatoria - Beata Maria Adeodata Pisani, pregate per noi.

*Beata Maria Ludovica (Antonina) De Angelis – Missionaria (25 febbraio)

San Gregorio (L’Aquila), 24 ottobre 1880 – La Plata (Argentina), 25 febbraio 1962
Antonina (1880-1962), è nata in Italia ma, dopo aver aderito alla Congregazione delle Figlie di Nostra Signora della Misericordia, si trasferì nell'ospedale pediatrico de La Plata, in Argentina, dove trascorse il resto della sua vita.
Fu amministratrice dell'ospedale e, per qualche tempo, anche superiora.
La sua specialità fu la carità verso i malati e verso il personale ospedaliero, medici ed infermieri.
L'eroicità delle sue virtù è stata riconosciuta nel 2001.
Antonina De Angelis, questo il suo nome da laica, nacque il 24 ottobre 1880 a San Gregorio in provincia de L’Aquila; primogenita degli otto figli di Ludovico De Angelis e Santa Colaianni, umili e religiosi contadini, i quali seppero infondere nei numerosi figli, i principi del cristianesimo.
Come primogenita Antonina fin da bambina aiutò la madre nell’accudire i suoi fratelli, divenendone così balia, maestra e modello, in pratica una seconda madre.
Per questi impegni non riuscì a frequentare con assiduità la scuola, ciò nonostante imparò a leggere e scrivere recandosi a casa di una maestra; sia in famiglia sia in chiesa, imparò il catechismo che non smise mai d’insegnare; altro amore che portò sempre con sé, fu la dedizione ai lavori nei campi; già adolescente aiutava il padre nei lavori agricoli e nella vendita dei prodotti.
Nel contempo cresceva robusta e carina e pretendenti al matrimonio non mancarono, anche se Antonina li rifiutò sistematicamente; nel suo animo c’era un’inquietudine, perché avvertiva il desiderio di farsi religiosa, la madre si opponeva perché suo desiderio era di vederla sposata e avere tanti nipoti.
Antonina parlò di ciò con il Parroco Samuel Tarquini che la guidò e l’aiutò in tutto, tanto da farle conoscere le Suore della Misericordia, e le fornì anche la dote.
Il 14 novembre del 1904 entrò come postulante nel noviziato delle Suore della Misericordia, fondate da Santa Maria Giuseppa Rossello (1811-1880), nella Casa Madre di Savona
nell’incantevole Riviera Ligure; nell’anno successivo, con il nome di Maria Ludovica fece la sua prima professione il 3 maggio 1905, ricevendo il mandato missionario.
Il 14 novembre 1907 s’imbarcò a Genova per l’Argentina insieme a tanti emigranti, raggiunse Buenos Aires e si soffermò con le consorelle già in missione in quella città fin dopo il Natale, poi si trasferì a La Plata nel piccolo Ospedale de Ninos (dei bambini) che consisteva a quel tempo in due sale in legno circondate da una recinzione di filo spinato.
Venne assegnata in cucina e nella dispensa, ovviamente per la sua scarsa istruzione non poteva essere né infermiera né maestra; ma s’impegnò a gestire il suo compito in modo così perfetto che il dottor Carlos S. Cometto la propose come amministratrice, carica che mantenne fino ai suoi ultimi giorni.
E l’amministrazione dell’Ospedale sarà il campo della sua santificazione, non un chiostro silenzioso, ma il contatto giornaliero con fornitori, nel controllo delle merci, nel disporre il cibo per i bambini ammalati, nel controllare le pulizie, nell’evitare sprechi, nell’incoraggiare il personale dell’Ospedale a svolgere i loro compiti con responsabilità e sollecitudine.
In definitiva mettere in pratica, lei quasi analfabeta, le tre caratteristiche principali di ogni buon amministratore: Vedere, prevedere, provvedere.
Madre Ludovica lottò per ampliare l’Ospedale, dotandolo di attrezzature moderne e di personale qualificato, stimolando il contributo di tanti benefattori. L’Ospedale per Bambini di La Plata su disposizione del Ministro della Sanità argentino è oggi intitolato “Superiora suor Maria Ludovica”.
Fondò inoltre il sanatorio di Punta Magotes a Mar del Plata per assistere i bambini affetti da tubercolosi e dalle malattie respiratorie; desiderando che ai bambini non mancasse nulla, con l’aiuto della Provvidenza acquistò alcuni ettari di terreno a City Bell, costruendo una fattoria e istituendo un centro di produzione di prodotti freschi per i bambini, frutta, verdure, latte, farinacei; compreso un centro di spiritualità con chiesa e parrocchia, catechesi, missioni popolari.
Si occupò dei bambini orfani e abbandonati, allevandoli e educandoli, trasformando l’ospedale in un focolare e in una scuola. Come molti santi, suor Ludovica sperimentò ‘la croce’ di Gesù nel corpo e nello spirito, afflitta da malattie, angosciata da incomprensioni e calunnie, fece fronte a ciò con il silenzio, il perdono e la preghiera.
Soffrì per molti anni dei postumi di una malattia renale acuta, che nel 1935 le causò l’asportazione di un rene, ipertensione alta e edemi polmonari; l’insonnia l’accompagnò per buona parte della sua vita, occupava quelle ore notturne con la preghiera e con il cucire abiti liturgici per le varie cappelle, oppure girando per le sale di degenza a controllare i piccoli pazienti.
All’inizio del 1962 si manifestò un tumore all’addome; accettò con profonda pace la volontà di Dio, dicendo spesso: “Dio lo vuole! Lui sa quello che fa! Sia fatta la Sua volontà!”.
Il 25 febbraio 1962 morì a La Plata nell’Ospedale dei Bambini, circondata dall’affetto e dalla riconoscenza della popolazione. Il suo motto più incisivo fu: “Fare del bene a tutti, non importa a chi”; aveva guidato con energia e amore l’Ospedale per 54 anni. Papa Giovanni Paolo II l’ha Beatificata il 3 ottobre 2004 in Piazza San Pietro a Roma.
(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Maria Ludovica De Angelis, pregate per noi.

*San Nestore di Magydos - Vescovo e Martire (25 febbraio)

Nestore era vescovo di Magydos in Panfilia, regione dell'Asia Minore. Fu ucciso in spregio alla fede nel 251 a Perge mediante crocifissione.
Una "Passione" greca del martire narra che, durante la persecuzione ordinata dall'imperatore Decio, il governatore della Panfilia Poplio fece ricercare i cristiani della zona per farli sacrificare agli dèi. Nestore si prodigò per mettere in salvo la comunità cristiana di Magydois.
Ma non si preoccupò della sua sorte. Dopo il rifiuto di abiurare e sacrificare agli dèi pagani, fu preso prigioniero. Dapprima venne giudicato dal senato e dal tribunale locale.
Poi lo condussero a Perge per essere sottoposto a un nuovo processo. Durante il tragitto si verificò un terremoto. Dopo essere stato condannato e torturato fu giustiziato. (Avvenire)
Etimologia: Nestore = che ricorda, dal greco o guida, dal latino
Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Perge in Panfilia, nell’odierna Turchia, passione di San Nestore, vescovo di Magido e martire, che, arrestato durante la persecuzione dell’imperatore Decio, fu condannato dal governatore della provincia alla croce, perché lui che aveva confessato il Crocifisso subisse il medesimo supplizio.
Secondo una ‘passiones’ greca, Poplio (o Pollio) preside della Panfilia in Asia Minore, ricevuto
l’editto di persecuzione dell’imperatore Decio (249-250), diligentemente mandò i cavalieri per tutta la provincia, con il compito di ricercare i cristiani e costringerli a sacrificare agli dei.
Nestore vescovo di Magydos, avendolo saputo, fece fuggire la popolazione cristiana dalla città, ma senza preoccuparsi di mettersi in salvo lui al sicuro.
Così quando giungono i soldati, egli è in preghiera nella sua casa, lo prelevano e lo conducono davanti al senato e al giudice (“irenarca”) Nestore li segue senza opporsi; subisce l’interrogatorio e nonostante le minacce, si rifiuta di aderire all’editto imperiale a sacrificare agli dei.
Viene trasferito a Perge, al tribunale del preside della provincia, per un giudizio superiore, durante il viaggio avviene anche un terremoto; giunto a Perge, subisce un nuovo interrogatorio dall’ ‘adiutor’ Urbano, sottoposto a torture e infine viene crocifisso, circondato da una folla di fedeli in preghiera. Il suo nome compare in date diverse del mese di febbraio, in tutti i “Martirologi” storici di Adone, Floro, Usuardo, “Geronimiano”, sinassari bizantini.
I Martirologi Occidentali medioevali lo ricordavano al 26 febbraio ed è a questa data che Cesare Baronio nel XVI secolo lo passò nel “Martirologio Romano”.
Il suo martirio, cioè la crocifissione è raffigurata in una miniatura del “Menologio di Basilio II” conservato nella Biblioteca della Città del Vaticano.
Il nome Nestore è di origine greca e significa: “ritorno felice”, nonostante il suo significato, attualmente il nome e la parola Nestore indicano una persona molto vecchia, forse perché nell’Iliade di Omero, era un personaggio vissuto trecento anni; si usa dire “il nestore del gruppo” per indicare il più anziano.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Nestore di Magydos, pregate per noi.

*Beata Regina Maria (Mariam) Vattalil - Vergine e Martire (25 febbraio)

Pulluvazhy, Kerala, India, 29 gennaio 1954 - Udaingar, Madhya Pradesh, India, 25 febbraio 1995
Mariam Vattalil, nata nello Stato indiano del Kerala da una famiglia di contadini, entrò a vent’anni nella congregazione delle Suore Francescane Clarisse. Determinata a portare il Vangelo tra le popolazioni più povere del nord dell’India, avviò programmi di sensibilizzazione per gli abitanti dei villaggi. Dotata di un’intelligenza vivace e di un genuino spirito di preghiera, era convinta che nessun sacrificio potesse essere eccessivo per ottenere la liberazione totale proclamata da Gesù. Tuttavia, la sua azione missionaria risultò sgradita ai proprietari terrieri e agli usurai che sfruttavano i contadini. Il 25 febbraio 1995, mentre era sull’autobus che l’avrebbe riportata a casa, fu aggredita da un giovane, Samundar Singh: fu uccisa a coltellate. Aveva 41 anni. La sua causa di beatificazione si è svolta nella diocesi di Indore dal 29 giugno 2005 al 28 giugno 2007. È stata beatificata a Indore il 4 novembre 2017, sotto il pontificato di Papa Francesco.
Infanzia e famiglia
Mariam Vattalil nacque a Pulluvazhy, nello Stato indiano del Kerala, il 29 gennaio 1954. I suoi genitori, Pally ed Eliswa, contadini, la battezzarono secondo il rito siro-malabarese, in vigore nel Kerala, presso la chiesa di San Tommaso del loro villaggio, il 5 febbraio 1954. Oltre a lei, la secondogenita, ebbero altri sei figli, cinque femmine e due maschi. Mariam, o Marykunju (corrispettivo di "Mariuccia" o "Marietta"), come la chiamavano affettuosamente in famiglia, ricevette poi la Prima Comunione e la Cresima il 30 aprile 1966. Grazie ai genitori e ai nonni, comprese prestissimo l’importanza della preghiera: sin da piccola partecipava regolarmente alla Messa e alle devozioni popolari. Frequentava poi il catechismo e s’impegnava a mettere in pratica nella vita quanto imparava.
Ha raccontato suo fratello Stephen: «Era una ragazza di poche parole, indossava solo abiti molto semplici e non mostrava nessun interesse per gli ornamenti. Non fece mai niente che potesse ferire qualcuno. Se capitava qualcosa di increscioso, ne era dispiaciuta». I genitori avevano ben ragione di essere orgogliosi di lei, se sua madre ricorda: «Era diversa dalle altre ragazze ed era straordinariamente obbediente».
Gli studi
La sua formazione scolastica iniziò col "Kalari", la forma tradizionale d’istruzione che anticipava la scuola elementare, che durò due anni. In seguito, Mariam fu iscritta alla Scuola Primaria Governativa di Pulluvazhy e proseguì gli studi nell’Istituto Jayakeralam della stessa città.
Tra un dovere scolastico e l’altro, trovava tempo per aiutare suo padre nel lavoro dei campi e sua madre nelle faccende domestiche. Mostrava inoltre uno spiccato interesse e un amore particolare verso i servi di casa, coi quali spesso si fermava a parlare.
Dato che il suo diploma della scuola secondaria si prospettava buono, i genitori inviarono Mariam al Liceo San Giuseppe di Tripunithura. Sotto la guida delle suore insegnanti, fece notevoli progressi, sia a livello intellettivo sia spirituale, nella sua vita scolastica e nel collegio interno.
Vocazione religiosa
Mentre frequentava l’ultimo anno delle superiori, Mariam, che a scuola era detta Mary, riconobbe di sentirsi chiamata a diventare suora. Condivideva il suo stesso sogno una cugina, Cicily, con la quale iniziò a frequentare il convento delle suore Francescane Clarisse.
Da non confondersi con le monache fondate dai santi Francesco e Chiara d’Assisi, erano e sono una congregazione religiosa nata proprio in India, sul finire del 1800, per il servizio ai più abbandonati. A quella congregazione appartiene anche la prima santa di nazionalità indiana, suor Alfonsa dell’Immacolata Concezione, canonizzata nel 2008.
Mariam era preoccupata per la reazione dei suoi congiunti, ma un giorno si fece coraggio e annunciò che sarebbe entrata in convento. I fratelli e le sorelle si opposero fermamente e chiesero al loro padre di non concederle il permesso. L’uomo replicò: «Ma se lei insiste, che ci posso fare? Se Dio desidera così, come possiamo andare contro questo?». Udendo la conversazione, intervenne la nonna: «Perché vi opponete che Marykunju entri in convento? Non va forse per una causa nobile? Quanti genitori desiderano che i loro figli diventino preti e suore? Lo ottengono sempre? La vocazione alla vita religiosa non è concessa a tutti. Dio la concede solo ad alcuni». A quelle parole sagge, tutti ammutolirono.
Tra le Suore Francescane Clarisse
Il 3 luglio 1972 Mariam e Cicily iniziarono il periodo di aspirantato, durato fino al 30 ottobre 1972, nel convento delle Francescane Clarisse a Kidangoor. Seguirono il postulandato, dal 1° novembre 1972 al 29 aprile 1973, e il noviziato, dal 30 aprile 1973 allo stesso giorno dell’anno successivo.
Il 1° maggio 1974, Mariam compì la sua prima professione nella congregazione delle Francescane Clarisse. Il suo nome religioso fu suor Rani Maria; Rani è corrispettivo di "Regina". La cugina Cicily, invece, assunse quello di suor Soni Maria.
I primi tempi da religiosa
La sua maestra durante l’aspirantato e il postulandato, suor Gladys, ha testimoniato: «Aveva sempre un viso sorridente ed era una ragazza intelligente. Faceva tutto alla perfezione e non si lamentava di nulla. Non aveva bisogno di alcuna correzione. Restando salda in ciò che è vero e giusto, parlava sempre molto apertamente».
Una connovizia, suor Alze Maria, l’ha invece descritta in questi termini: «Durante il periodo di formazione, eravamo impegnate in vari compiti. Dovevamo fare tutto da noi a gruppi. Tutte volevano avere suor Rani nel proprio gruppo.
Pulivamo la casa, la stalla, i gabinetti e i bagni. Lei era sempre la prima per questi lavori umili. Suor Rani Maria era abituata a santificare ogni istante recitando giaculatorie o canticchiando inni sacri. Durante le sue ore di lavoro, la sua giaculatoria preferita era il nome di Gesù».
La maestra di noviziato, suor Infant Mary (suor Maria Bambina), ha confermato: «Era unica nella preghiera, negli studi, nell’osservanza delle regole, nelle responsabilità che le venivano affidate; in breve, in tutto. Non era mai infastidita dalle altre o con le altre. Era imparziale quando veniva chiamata a indicare i difetti delle altre e lo faceva con precisione. Era sempre molto preoccupata della volontà di Dio».
Chiamata a servire i poveri nel nord dell’India
Suor Infant Mary visitava di frequente le missioni della congregazione e spesso raccontava alle novizie la situazione nel nord dell’India: milioni di persone, illetterate e povere, non conoscevano il Vangelo. Suor Rani Maria si sentì chiamata a portarlo a quella gente e iniziò sempre più spesso a ripetere: «Anch’io voglio andare nel nord dell’India per servire i poveri e morire per loro».
In effetti, le Francescane Clarisse erano state le prime missionarie donne autoctone, negli anni ’60 del secolo scorso, inviate a evangelizzare i territori settentrionali del Paese. La loro opera era particolarmente difficile, dato che l’Induismo aveva plasmato la società secondo un sistema di caste, ancora in vigore nei villaggi rurali.
Il servizio a Bijnor
Profondamente determinata a portare avanti quella chiamata missionaria, suor Rani Maria assunse come motto il passo biblico che Gesù lesse nella sinagoga di Nazareth, come racconta il Vangelo
secondo Luca. Più concretamente, dovette imparare la lingua del luogo perché la sua azione potesse essere più efficace.
Così, dal 9 luglio 1975, si diede allo studio presso la Casa provincializia delle Suore di Nostra Signora a Patna. Il 24 dicembre 1975 arrivò al convento di Santa Maria, nella diocesi di Bijnor, che considerò sempre la culla della sua vita missionaria.
A causa della carenza di maestri locali qualificati, suor Rani Maria fu nominata maestra nella scuola di Santa Maria a Bijnor, benché desiderasse servire i poveri nei villaggi. Nei due anni d’insegnamento, dall’8 settembre 1976 al 7 agosto 1978, si dedicava al servizio sociale, nel quale s’impegnò più intensamente una volta terminato l’incarico scolastico. Per essere ancora più competente nella missione tra i contadini, studiò Sociologia e, in parallelo, continuava il suo apostolato. Il 22 maggio 1980 compì la professione solenne nella chiesa di sant’Hormis ad Ankamaly.
Benché non avesse trascorso molti anni a Bijnor, riuscì a raggiungere bambini e malati nei villaggi dell’interno e nelle capanne. Il parroco di Bijnor, padre Varghese Kottoor, ricordò: «La semplicità francescana di suor Rani catturava i cuori e le menti di tutti coloro coi quali entrava in contatto». Suor Infant Mary confermò: «Freddo pungente, caldo intenso, pasti irregolari, carenza d’acqua e viaggi attraverso momenti pericolosi o di solitudine e sconforto… nulla era un ostacolo per suor Rani Maria».
A Odagady
Il 21 luglio 1983, suor Rani Maria fu trasferita a Odagady, in diocesi di Satna. Arrivò sul posto il 25 luglio e venne nominata coordinatrice delle attività sociali. Convintissima che nessun sacrificio sarebbe stato eccessivo per ottenere la liberazione totale proclamata da Gesù, organizzò programmi educativi per bambini, giovani e anziani. Fece prendere coscienza ai poveri riguardo alla loro condizione di sfruttamento, così da assumere pienamente i loro diritti e doveri di cittadini indiani.
Cominciarono quindi minacce alla sua vita, perché, secondo i suoi persecutori, la sua opera era in realtà un’attività di proselitismo. Invece di spaventarsi, suor Rani Maria era ancora più entusiasta e zelante nel suo impegno.
Insegnò anche il catechismo alle famiglie cristiane che si erano stabilite a Odagady prima dell’arrivo dei missionari, mentre i non cristiani erano attratti dal suo amore per loro e dalla sua instancabile attività.
In mezzo alle sue innumerevoli incombenze, suor Rani Maria trovò il tempo per un ritiro di due mesi, in silenzio e solitudine, presso la Casa di preghiera "Porziuncola" annessa alla Casa generalizia delle Suore Clarisse Francescane ad Aluva. Dal 30 maggio 1989 al 15 dello stesso mese del 1992 fu superiora locale e, intanto, conseguì un master in Sociologia all’università di Rewa. Infine, ebbe l’incarico di consulente per il Dipartimento dei servizi sociali della Provincia di Amala della sua congregazione.
A Udainagar
Trasferita il 15 maggio 1992 a Sneha Sadan presso Udainagar, suor Rani Maria vi arrivò dopo tre giorni di viaggio. Grazie alla sua esperienza, studiò attentamente lo stato di vita degli abitanti: si rese conto che erano caduti in una trappola tesa da parte dei commercianti di Udainagar, diventando dipendenti dagli usurai che divoravano le loro magre entrate e le loro proprietà. Suor Rani Maria attuò quindi alcuni programmi di coscientizzazione, che diedero i loro frutti: i poveri di Udainagar divennero cittadini attivi e responsabili. Lei stessa andò a protestare presso gli ufficiali governativi, ma riceveva solo rifiuti e derisioni per il suo interesse verso i fuoricasta. Una novizia che l’accompagnò a un colloquio col direttore di una banca ha raccontato che, tenendo in mano il crocifisso che portava al collo, suor Rani Maria dichiarò: "Signore, noi abbiamo accettato questo stile di vita e siamo venute qui perché non abbiamo mezzi di sussistenza a casa, e non perché i nostri genitori ci hanno cacciate di casa. Guardi! Abbiamo accettato questo stile di vita, una vita di sacrificio, per lavorare per Cristo nei poveri". Gradualmente riuscì a ottenere l’ammirazione anche dei governativi, grazie ai suoi modi gentili, alla sua azione disinteressata e, soprattutto, alla sua maniera cortese di parlare. Inoltre, insegnò ad alcuni giovani come aiutare i poveri e loro stessi tramite l’assistenza finanziaria delle banche private di Udainagar e Indore.
La preghiera di suor Rani Maria
La preghiera era la radice del suo impegno: si alzava ogni giorno alle quattro del mattino e trascorreva molto tempo in preghiera personale. Quanto a quella comunitaria, la guidava in maniera attiva e con gioia.
Nelle sue note personali, lasciò scritte alcune invocazioni. Ad esempio: «Signore, aiutami ad accettare il tuo amore nei giorni buoni e in quelli cattivi, quando sono delusa di me stessa e quando sono forte. Aiutami a credere profondamente nel tuo amore immutabile, cosicché io possa sempre gioire in esso senza paure e preoccupazioni».
O anche: «Padre, io sono debole e lontana dalle virtù. Aiutami a rendermi conto che tu usi i deboli del mondo per confondere i forti. Mostrami come fare il prossimo passo nel mio desiderio di costruire il tuo Regno. Benedici i miei umili sforzi, cosicché io possa glorificare il tuo nome con la mia vita. Amen».
Un rischio ponderato
Nel frattempo, i programmi di sviluppo avviati da suor Rani Maria avevano iniziato a essere avversati dagli usurai e dagli sfruttatori dei contadini. L’unico modo per arrestare quel processo appariva essere quello di togliere di mezzo colei che ne era stata l’ispiratrice. L’idea si fece concreta dopo che la religiosa era riuscita a far uscire dal carcere alcuni fedeli cattolici, erroneamente coinvolti in un tumulto.
Suor Rani Maria sapeva di essere presa di mira, ma non volle in alcun modo fermarsi. Il 17 febbraio 1995, in visita alla Casa provincializia in occasione della visita canonica della Madre generale, dichiarò: «Non dovremmo cercare sicurezza e comodità nella nostra opera missionaria. Con coraggio e fiducia in Dio sempre di più le suore dovrebbero essere pronte a rischiare loto stesse nel servire i poveri e i bisognosi nei villaggi sottosviluppati delle missioni». Nella stessa occasione confidò alla sua ex maestra di noviziato: «Desidererei morire martire per amore di Gesù e per i miei poveri fratelli oppressi».
L’ultimo viaggio
Il mattino del 25 febbraio 1995, suor Rani Maria si alzò presto come suo solito, anche perché doveva prendere il primo autobus per Indore; di lì avrebbe dovuto dirigersi alla Casa provincializia di Bhopal e proseguire per il suo nativo Kerala. Prima di uscire, secondo una sua abitudine, la suora prese la
Bibbia e la aprì a caso. Uscì il versetto 16 del capitolo 49 del profeta Isaia: «Non aver paura! Ecco, sulle palme delle mie mani ti ho disegnato». Accompagnata da due consorelle, suor Rani Maria andò alla fermata, ma le venne detto che era saltata una corsa. Mentre tornavano indietro, le suore videro l’autobus su cui avrebbe dovuto salire. Un’altra religiosa, suor Liza Rose, chiese al conducente di riservare un posto a suor Rani Maria: fu risposto che avrebbe potuto salire di fronte al convento, alle 8.15. Quando il mezzo arrivò, suor Rani Maria salutò le altre suore, mentre suor Liza l’aiutò col bagaglio a mano. Tuttavia, un giovane vestito di bianco posò la borsa accanto al conducente e chiese alla suora di sedersi dietro: era un fatto strano, poiché alle suore veniva riservato un posto nella parte anteriore del bus.
Il martirio
Nel corso del viaggio, un uomo, Jeevan Singh, che era stato coinvolto in alcuni tumulti precedenti, cominciò a insultare la suora, accusandola di proselitismo. Quando il bus raggiunse una giungla a circa venti chilometri da Udainagar, un giovane sulla ventina, Samundar Singh, seduto accanto a suor Rani Maria, si alzò dal posto e chiese al conducente di fermare l’autobus. Scese e infranse una noce di cocco contro una roccia, offrendone i pezzi agli altri passeggeri, una volta salito: era un "puja", una forma di preghiera indù. Fece per darne uno anche alla suora, ma glielo tolse subito dopo.  «Perché sei così allegro, oggi?», domandò lei. Estraendo un coltello, il giovane rispose: «Solo per questo», e glielo infilzò nello stomaco. Mentre lui la pugnalava ripetutamente, il bus si fermò: l’aggressore scese e continuò a colpire la suora, finché non morì. Nessuno dei passeggeri osò soccorrerla, molti fuggirono. Finché ebbe fiato, suor Rani Maria continuò a ripetere la sua preghiera preferita, il nome di Gesù.
Verso le 10.45, le suore furono informate dalla polizia che il corpo di suor Rani Maria era stato rinvenuto lungo la strada, accanto all’autobus abbandonato. Il vescovo di Indore, monsignor George Anathil, andò insieme ad alcuni sacerdoti e, dopo le formalità legali, portò il cadavere in episcopio per la camera ardente. L’autopsia riscontrò che la suora aveva subito 40 ferite gravi e 14 ecchimosi.
I funerali si tennero il 27 febbraio nella cattedrale di Indore, piena di gente. Il corpo della suora fu quindi sepolto a Udainagar, dove si raccolse una folla di persone in lutto, senza distinzione di casta o di credo religioso.
Un legame nato dal perdono
Tra le sorelle di suor Rani Maria, una di esse, Celine, prese i voti nella sua stessa congregazione, nel 1984, diventando suor Selmy Paul. Di fronte al cadavere della sorella, inizialmente ebbe un moto di ribellione nei confronti di Dio. Quando si fu calmata, chiese la grazia di poter perdonare l’assassino.
Dopo varie richieste andate a vuoto, suor Selmy Paul poté incontrare Samundar Singh, che scontava la sua pena nel carcere di Indore. Era il 21 agosto 2002, in cui quell’anno cadeva la festività indù del Rakshabandhan, che prevede la nascita di nuovi legami di protezione tra le persone. Legando un filo ornato (il "rakhi") al polso di Samundar, suor Selmy Paul si pose idealmente sotto la sua protezione: l’uomo, commosso, le manifestò il proprio pentimento. Anche Eliswa, la madre di suor Rani Maria e di suor Selmy Paul, volle incontrare il prigioniero otto anni dopo l’uccisione della figlia. Baciò le sue mani, spiegando in seguito: «Desideravo compiere questo gesto, baciare le mani che avevano ucciso mia figlia, perché quelle mani erano bagnate del suo sangue».
Samundar Singh è stato scarcerato dopo undici anni, anche per intervento della Madre provinciale delle Francescane Clarisse, dalla famiglia di suor Rani Maria e del vescovo di Indore. La sua vicenda di pentimento e perdono è stata raccontata nel 2014 nel film documentario «Il cuore dell’assassino», di Catherine McGilvray.
Fama di martirio e avvio della causa di beatificazione
Immediatamente dopo la sua uccisione, suor Rani Maria cominciò a essere ritenuta una martire, seppure non ufficialmente. Alla sua tomba si recavano sempre più persone, alcune delle quali affermarono di aver ricevuto delle grazie singolari per sua intercessione. Per questo motivo, le Suore Francescane Clarisse domandarono di poter avviare la sua causa di beatificazione, per l’accertamento del martirio in odio alla fede. Dopo il nulla osta da parte della Santa Sede, il 26 settembre 2003, è stata aperta il 29 giugno 2005 a Indore l’inchiesta diocesana, conclusa il 28 giugno 2007. Gli atti del processo sono stati convalidati il 27 novembre 2009.
Il riconoscimento del martirio e la beatificazione
La "Positio super martyrio", consegnata nel 2014, è stata esaminata dai Consultori teologi della Congregazione delle Cause dei Santi l’11 febbraio 2016 e, con valutazione altrettanto positiva, dai cardinali e dai vescovi membri della stessa Congregazione il 21 marzo 2017. Due giorni dopo, il 23 marzo, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui suor Rani Maria è stata dichiarata ufficialmente martire.
La beatificazione della religiosa è stata celebrata il 4 novembre 2017 a Saint Paul Institute of Professional Studies di Indore. A presiedere il rito, in qualità di delegato del Santo Padre, il cardinal Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.

(Autore: Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*Beato Roberto d'Arbrissel – Sacerdote (25 febbraio)

Martirologio Romano: Nel priorato di Orsan nel territorio di Bourges in Aquitania, in Francia, transito del Beato Roberto di Arbrissel, sacerdote, che, predicando per le strade la conversione dei costumi, radunò uomini e donne in due monasteri a Fontevrault sotto il governo di una badessa.
Figlio di un prete, studiò teologia a Parigi durante il pontificato di Gregorio VII, forse sotto Anselmo di Laon e, dopo un'esperienza coniugale, prese gli ordini; nel 1089 fu chiamato nella diocesi di Rennes
dal vescovo Silvestro de la Guerche, che intendeva introdurvi delle riforme. Roberto combatté la simonia, il concubinaggio degli ecclesiastici, i matrimoni irregolari.
Un tale zelo gli procurò dei nemici tanto che dopo la morte del vescovo Silvestro, nel 1093, fu costretto ad abbandonare la diocesi. Continuò gli studi ad Angers con Marbodo, poi vescovo di Rennes, che censurò Roberto per aver rifiutato di assistere alle messe cui partecipavano anche i preti indegni.
Dal 1095 iniziò quelle pratiche ascetiche che coltivò per tutta la vita e si fece eremita nella foresta di Craon, insieme con Bernardo di Tiron, poi fondatore della congregazione di Tiron, con Vitale di Savigny, poi fondatore di quella di Savigny, e con altri. Avendo raccolto molti seguaci, nel  1096 fondò un monastero di canonici regolari a la Roë, ad Anjou, del quale fu il primo abate. Quell'anno stesso papa Urbano II lo convocò ad Angers nominandolo "predicatore secondo solo a se stesso con l'ordine di predicare in conformità del suo servizio".
L'attuale abbazia di Fontevrault
Non si sa se appoggiò la crociata indetta da Urbano. Egli e i suoi seguaci furono conosciuti con il nome di "Poveri di Cristo", con il motto «Nella nudità seguire Cristo nudo sulla croce». Andava scalzo, trasandato e poveramente vestito: la sua eloquenza, aumentata dall'aspetto ascetico, radunò intorno a lui molte persone di entrambi i sessi, per lo più di umili origini, che intendevano abbracciare la vita monastica nel convento di la Roë, da cui però venivano respinti dai canonici, che non intendevano accogliere donne nel convento; tra il 1097 e il 1100 Roberto lasciò allora la sua abbazia per fondare, in un terreno donato dal signore di Fontevrault, (oggi Fontevraud-l'Abbaye), nell'attuale dipartimento del Maine e Loira, una comunità che accogliesse aderenti di ogni condizione e di entrambi i sessi.
In diverse residenze furono divisi gli uomini, tanto chierici che laici, dalle donne, vergini, separate, vedove ed ex prostitute, e dai malati cronici.
A capo dell'intera comunità, maschile e femminile, pose una badessa, una donna che fosse già stata sposata, tra le quali la prima fu Pétronille de Chemillé.
Roberto continuò la sua predicazione itinerante, e fu presente nei concili di Nantes e di Poitiers, tenuto nel novembre del 1100, appoggiando i legati papali, che scomunicarono Filippo I di Francia a causa della sua unione illegittima con Bertrada di Montfort.
Alla fine della sua vita, indisse un Capitolo nel settembre 1116 per assicurare una stabilità di regole nel proprio monastero. Un analogo monastero fu fondato a Hautebruyère dalla penitente Bertrade, e a Orsan, dove Roberto morì.
Con il tempo, l'Ordine costituito da Roberto si trasformò: per accedere a Fontevrault e nei numerosi priorati fondati nel corso degli anni, la maggior parte dei quali erano femminili, occorreva possedere una dote consistente.
Roberto non fu canonizzato. Pesarono le lettere di accusa di Marbodo di Rennes, di Goffredo di Vendôme e di Pietro di Saumur sul suo comportamento da loro giudicato scandaloso. Le successive richieste di beatificazione di Roberto, presentate da Giovanna Battista di Borbone, badessa di Fontevrault, figlia naturale di Enrico IV di Francia, a Papa Innocenzo X, rimasero senza esito. Tuttavia a Roberto è dato ugualmente il titolo di beato.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - Beato Roberto d'Arbrissel, pregate per noi.

*Beato Sebastiano dell’Apparizione – Francescano (25 febbraio)

1502 – 1600
Martirologio Romano:
A Puebla de los Ángeles in Messico, Beato Sebastiano Aparicio, che, guardiano di pecore, emigrò dalla Spagna in Messico, dove beneficò i poveri con i molti beni che aveva accumulato con il suo lavoro; rimasto, poi, due volte vedovo, fu accolto come fratello laico nell’Ordine dei Frati Minori e morì quasi centenario.
Durante il secolo d'oro della sua spiritualità e della sua letteratura, la Spagna fu anche edificata da quattro Santi fratelli laici appartenenti all'Ordine Francescano dei Frati Minori: San Pasquale Baylón (1540-1592), il Beato Andrea Hibernon (1534-1602), il Beato Giuliano di Sant'Agostino (1553-1606) ed il Beato Sebastiano dell'Apparizione (1502-1600).
Quest'ultimo, commemorato in data odierna dal Martyrologium Romanum, spartì in realtà la sua lunga vita tra due continenti.
Umile contadino della provincia spagnola della Galizia, proveniva da una povera famiglia e trascorse la sua fanciullezza pascolando greggi.
All'età di quindici anni i suoi genitori preferirono mandarlo nella più prosperosa Castiglia al servizio di una vedova, che pare tentò di sedurlo.
Sebastiano allora fuggì, trovando una nuova occupazione quale cameriere personale di un facoltoso gentiluomo di Salamanca.
Tuttavia il suo cuore era a tal punto legato alla vita campestre, che l'anno seguente preferì tornare a casa per pascolare le pecore.
Dopo otto anni di lavoro aveva già accumulato una cospicua fortuna, tanto da finanziare la dote delle sorelle.
Sebbene le sue agiate condizioni finanziarie lo avessero reso un ottimo partito, Sebastiano abbandonò la prospettiva matrimoniale per salpare alla volta dell'America.
Giunse così in Messico e si stabilì a Puebla degli Angeli. Iniziò l'attività di bracciante agricolo, ma la sua spiccata imprenditorialità gli consentì di mettersi in proprio ed effettuare trasporti vari
tra Zacatecas e Città del Messico.
Notando la forte necessità di vie di comunicazione più agevoli, non esitò a provvedere personalmente alla loro realizzazione, arricchendosi così ulteriolmente.
Tra le principali strade da lui inaugurate si ricorda quella tra le due città suddette, tuttora attiva.
Nonostante l'agiatezza raggiunta, Sebastiano preferì uno stila di vita austero, destinando piuttosto le proprie ricchezze ad opere di carità ed a prestiti senza interessi.
La sua ottima reputazione crebbe sia tra gli ispanici che tra gli indigeni ed era cosa frequente che si ricorresse a lui per risolvere le più svariate controversie.
Ritiratosi dagli affari nel 1552, Sebastiano comperò allora una tenuta agricola vicino a Città del Messico, ove si dedicò all'allevamento del bestiame.
All'età di ben sessant'anni pensò finalmente di sposarsi, ormai conscio di non rischiare di cedere alle tentazioni della carne.
La prima moglie, una povera ragazza la cui famiglia lo aveva supplicato di sposarla, morì dopo breve tempo, e così avvenne anche con la seconda.
Entrambi i matrimoni, con mutuo consenso, non vennero consumati.
A settantadue anni fu colpito da una grave malattia, ma ripresosi inaspettatamente, non gli restò che interpretare la sua guarigione come una grazia divina meritevole di essere contraccambiata.
Donò allora tutti i suoi beni alle clarisse e, fattosi terziario francescano, entrò nel noviziato dei francescani osservanti di Città del Messico.
Successivamente fu mandato a Tecali ed in un secondo momento a Puebla, ove era presente una grande comunità.
Il fervore, l'umiltà e l'obbedienza, che lo animarono abitualmente nonostante la sua età ormai avanzata, furono esemplari per tutti i suoi confratelli.
Visse così gli ultimi ventisei anni della sua vita peregrinando per le campagne su un carro trainato dai buoi e chiedendo l'elemosina.
Similmente alle leggende sorte sul conto di San Francesco d'Assisi, anche il beato Sebastiano godette di poteri miracolosi nei confronti degli animali, che ubbidivano ad ogni suo minimo cenno.
Si narra inoltre che gli angeli lo accompagnassero abitualmente nei suoi viaggi.
Morì quasi centenario il 25 febbraio 1600, compianto dall'affetto generale.
La fama di santità da cui era circondato, portò alla sua beatificazione il 17 maggio 1789 da parte del pontefice Pio VI.
Il corpo del Beato Sebastiano dell'Apparizione è ancora oggi conservato in una tomba di vetro, adiacente alla chiesa francescana di Puebla.
(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
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*San Toribio (Turibio) Romo Gonzalez - Martire Messicano (25 febbraio)

Schede del gruppi a cui appartiene:
“Santi Martiri Messicani” (Cristoforo Magallanes Jara e 24 compagni)
“Martiri Messicani”

Santa Ana de Guadalupe, Messico, 16 aprile 1900 - Tequila, Messico, 25 febbraio 1928
Nacque a Santa Ana de Guadalupe, appartenente alla parrocchia di Jalostotitlán, Jalisco, (Diocesi di San Juan de los Lagos) il 16 aprile del 1900. Vicario con funzioni di parroco a Tequila, Jalisco (Arcidiocesi di Guadalajara).
Sacerdote dal cuore sensibile e di assidua orazione. Profondamente preso dal mistero dell'Eucarestia chiese molte volte: "Signore non mi lasciare nemmeno per un giorno senza dire la Messa, senza abbracciarti nella Comunione". In occasione di una Prima Comunione, tenendo l'Ostia Sacra nelle sue mani disse: "Signore, accetteresti il mio sangue che ti offro per la pace della chiesa?".
Mentre si trovava ad "Agua caliente", luogo vicino a Tequila, che serviva come rifugio e centro del suo apostolato, volle aggiornare i registri parrocchiali. Lavorò tutto il giorno del venerdí ed anche la notte. Alle cinque della mattina del sabato 25 febbraio 1928, volle celebrare 1'Eucarestia ma, sentendosi molto stanco e con sonno, preferì dormire un po' per celebrare meglio.
Si era appena addormentato quando un gruppo di contadini e soldati entrarono nella stanza e uno di questi lo indicò dicendo: "Quello è il sacerdote, uccidetelo", el Padre Toribio si svegliò impaurito, si sollevò e lo colpirono. Ferito e vaccillante camminò un po', ma una nuova scarica, alle spalle gli tolse la vita ed il suo sangue generoso tinse di rosso la terra di questa zona di Jalisco.
Emblema: Palma
Martirologio Romano: In località Tequila nel territorio di Guadalajara in Messico, San Turibio Romo, sacerdote e martire, che fu ucciso nell’imperversare della persecuzione in odio del suo sacerdozio.
Per ordinarlo prete, dato che ha solo 22 anni e qualche mese, ci vuole a norma di codice la dispensa papale, ma gli inizi del suo ministero non sono dei migliori. Nella prima parrocchia la gente non lo capisce e gli crea un mucchio di difficoltà; nella seconda gli proibiscono addirittura di celebrar messa e recitare il rosario in pubblico.
Forse è un po’ troppo schierato dalla parte dei poveri, forse dà noia a qualcuno, certamente è un elemento che disturba e che bisogna “tenere a bada”.
Lui ingoia, sopporta, soffre in silenzio; al vescovo ricorre non per chiedere giustizia, ma per spiegare le cose secondo verità. Il vescovo ascolta e…lo trasferisce: quattro parrocchie in appena cinque anni e nell’ultima lo manda come parroco perché il clima di quegli anni, da generalmente caldo, lì si è fatto rovente e nessuno vuole andarci.
Anche così si forma un prete: tra le incomprensioni del parroco, le diffidenze dei fedeli e le cattiverie delle malelingue. Toribio Romo Gonzalez nasce nel 1900 in una famiglia messicana di
umili condizioni, dove davvero si lavora per mangiare e dove anche i più piccoli devono fare la loro parte.
Così nessuno è più contrario dei genitori al suo ingresso in seminario: perché le sue braccia si stanno facendo robuste e servono per mantenere la famiglia; ma anche perchè non ci sono soldi per comprare i libri.
Fortuna sua che in casa c’è anche Maria, la sorella maggiore, che si prende cura della sua vocazione, lavorando nei campi al posto suo e mettendo da parte i soldi per gli studi. E’ forse per questa povertà che lo accompagna fin dalla nascita, che Toribio, non appena prete, si schiera dalla parte dei poveri. Nelle varie parrocchie in cui lo mandano, per prima cosa organizza l’Azione Cattolica, insegna catechismo ai bambini, ma soprattutto aiuta i poveri e sostiene i lavoratori.. A settembre del 1927, nel pieno della persecuzione religiosa e della rivolta dei “cristeros”, diventa parroco di Tequila.
Vi porta il suo grande amore per l’Eucaristia, la sua spiritualità forte, la sua prolungata preghiera: quando non è in giro ad amministra sacramenti, per trovarlo bisogna cercarlo in chiesa, ai piedi del tabernacolo. “Non lasciarmi un solo giorno senza Eucaristia”, è la sua preghiera di ogni giorno, ma intanto diventa un “prete in incognito”, che battezza, predica e celebra in clandestinità per sfuggire alla “caccia al prete” che il generale Calles ha instaurato in Messico. A dicembre 1927 il fratello Roman è ordinato prete e il vescovo glielo assegna come viceparroco: con loro va ad abitare anche la sorella Maria, che continua a prendersi cura delle due vocazioni di cui è stata “mamma” e li aiuta a fare catechismo. Hanno stabilito il loro “quartier generale” in una vecchia fabbrica di tequila, dove celebrano di nascosto.
Qui, durante la prima comunione di un gruppetto di bambini, padre Toribio ha trovato la forza di dire: “Gesù, accetteresti il mio sangue per la pace del Messico?” All’alba del 25 febbraio 1928, dopo una notte trascorsa a sistemare i registri parrocchiali, viene svegliato da un gruppo armato che fa irruzione nella casa che lo ospita e che è guidato da un contadino della zona. É lui ad indicarlo agli altri: “Questo è il prete”.
Nella risposta di Padre Toribio non c’è nulla di eroico: “Sì, sono il prete, ma non uccidermi”. Lo crivellano di colpi e Maria raccoglie tra le lacrime il suo ultimo respiro. Su una barella improvvisata il corpo del martire viene portato in piazza ed esposto allo scherno e alle oscenità dei suoi assassini, ma i parrocchiani riescono a recuperarlo e a dargli degna sepoltura il giorno dopo, con un funerale che sembra la “canonizzazione popolare” di padre Toribio.
Che di lì a poco comincia davvero a far miracoli: a lui ricorrono, soprattutto, i malati di tumore, le donne desiderose di un figlio e gli emigranti, sia regolari che clandestini per necessità, che nell’attraversare le frontiere si raccomandano a lui.
Alla sua tomba accorrono anche i “vip” e i calciatori, anch’essi contagiati da quello che i “media” messicani hanno definito la “toribiomania”. Nessuno riesce a spiegarsi la popolarità che gode questo umile e giovane prete, mentre fioccano grazie speciali, insieme a veri e propri miracoli, che attirano nel suo piccolo villaggio natale anche duecento pullman ogni domenica. Giovanni Paolo II° lo ha beatificato nel 1992 e lo ha proclamato santo il 21 maggio 2000.
(Autore: Gianpiero Pettiti – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Toribio Romo Gonzalez, pregate per noi.

*Santa Valburga (Valpurga) - Badessa di Heidenheim (25 febbraio)

Devonshire, Wessex, Inghilterra, 710 c. - Heidenheim, Germania, 25 febbraio 779
Di lei si sa che visse nel secolo VIII, di stirpe inglese, Valburga era sorella dei santi Villibaldo e Vunibaldo, faceva parte del gruppo di monache e monaci che aiutarono San Bonifacio (680-755) ad evangelizzare la Germania.
Era monaca nel monastero di Wimborne (Dorset) e dopo due anni divenne badessa delle monache del doppio monastero, istituito da suo fratello Villibaldo ad Heidenheim, mentre l’altro fratello Vunibaldo guidava il ramo maschile. Alla morte di Vunibaldo, prese lei la direzione dell’intera istituzione, rimanendo badessa per tutta la vita.
Martirologio Romano: Nel monastero di Heidenheim nella Franconia in Germania, Santa Valburga, badessa, che, su richiesta di San Bonifacio e dei suoi fratelli i Santi Villibaldo e Vinebaldo, dall’Inghilterra venne in Germania, dove resse saggiamente due monasteri, di monaci e di monache.
Il suo nome è stato trascritto in varie forme: Valpurga, Valburga, Valpurgis.
Lei è una delle figure più rappresentative tra i missionari inglesi che nel secolo VIII d.C. diffondono e organizzano il cristianesimo in terra tedesca.
Li guida Vinfrido, più conosciuto poi come San Bonifacio e definito l’“apostolo della Germania”, che ha chiamato a quest’impresa molti suoi parenti.
Anche Valpurga è una di loro: ha studiato in un monastero del Wessex e poi ha raggiunto la Germania con altre religiose d’Inghilterra.
(In questo gruppo di missionari c’è anche la futura Santa Leoba o Lioba, una religiosa educata nel monastero dell’isoletta di Thanet, e poi animatrice del monachesimo femminile nel mondo tedesco).
Di lei si sa che visse nel secolo VIII, di stirpe inglese, Valburga era sorella dei Santi Villibaldo e Vunibaldo, faceva parte del gruppo di monache e monaci che aiutarono San Bonifacio (680-755) ad evangelizzare la Germania.
In Germania, Valpurga trova i suoi due fratelli: Villibaldo, che è vescovo di Eichstätt, nella Baviera; e Vinnibaldo, che dirige a Heidenheim un monastero “doppio”, formato cioè da una
comunità maschile e da una femminile sotto un unico abate.
Questa è una novità trapiantata dall’Inghilterra, e qui Valpurga diventa badessa dopo la morte del fratello nel 761: una donna che comanda anche agli uomini.
Guidata da lei, l’abbazia continua a essere un centro di forte irradiazione religiosa e culturale, e di aiuto alla gente del luogo, secondo la tradizione benedettina. Non vi mancano le monache scrittrici come Ugeburga, biografa dei due fratelli Villibaldo e Vinnibaldo.
Valpurga guida monaci e monache di Heidenheim per diciotto anni, fino alla sua morte, e subito dopo si diffonde intorno alla sua figura una venerazione popolare che dura nel tempo.
Circa un secolo dopo, il vescovo di Eichstätt fa portare il corpo di Valpurga nella sua città, e altre reliquie arrivano in Francia e nelle Fiandre.
Dalla sua nuova tomba trasuda per qualche tempo una sostanza liquida che, secondo alcuni, sarebbe un medicamento prodigioso.
Un’ingenua voce, che a suo modo tramanda la fama di Valpurga come soccorritrice dei sofferenti. Venerata come santa per voce dei fedeli, in suo onore sono state istituite due feste: nell’anniversario della morte (25 febbraio) e poi nel giorno della sua traslazione a Eichstätt, avvenuta il 1° maggio 870.
Ma la notte sul 1° maggio – secondo remote leggende precristiane diffuse nel mondo germanico – era anche quella in cui una moltitudine di streghe si abbandonava a deliranti festini, in mezzo a "un nebbione d’inferno", mentre "irrompe a fiumi un furibondo canto di magia" (dal Faust di Goethe).
Per questa casuale coincidenza cronologica, l’immaginaria notte delle streghe scatenate viene anche chiamata “notte di Santa Valpurga”.
Due realtà distanti, che proprio non hanno nulla da spartire.
Nell’893 ci fu una cerimonia di diffusione delle sue reliquie, considerata come una ‘canonizzazione’, alcune furono mandate nelle Fiandre, nella Francia del Nord e nella Renania, contribuendo così alla diffusione del culto per Santa Valburga.
Il re di Francia, Carlo III il Semplice (879-929), costruì nel suo palazzo ad Attigny, un santuario a lei dedicato. È celebrata normalmente nel giorno della sua morte il 25 febbraio, ma ha anche altre date celebrative a Eichstätt e Zutphen.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Valburga, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (25 febbraio)
*San
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